Julian Lawrence Gargiulo
Pianist




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Weill Recital Hall at Carnegie Hall, Dec 15, 2005

Ritmi da pianista camaleonte
By GAIA TORZINI, OGGI 7, (New York metropolitan area weekly, in Italian)


E 'un pianista, Julian Gargiulo, e durante i suoi concerti suona il piano. Ma dialoga anche con il pubblico, risponde alle domande, scherza, come se fosse il comico di uno spettacolo teatrale. Affascinante e divertente, ambizioso e intraprendente, Julian è un italoamericano con la doppia cittadinanza; parla perfettamente italiano, inglese e russo (ha studiato a Mosca ed è sposato con una musicista russa). "Non saprei dire a quale nazionalità appartengo di preciso – confessa – quando sono con gli italiani mi sento italiano; se parlo con gli americani mi sento americano, e se sto con i russi mi sento russo. Sono un po’ come lo Zelig di Woody Allen: un camaleonte che si adatta alle situazioni".

In effetti definire Julian non è semplice. Lo abbiamo incontrato in un caffè a Manhattan, subito dopo il concerto tenuto alla Carnegie Hall di New York.

Mentre risponde alle domande, non smette di tenere sotto controllo la situazione: osserva le persone, i loro gesti e gli sguardi; ed è il primo a raccogliere il guanto di una ragazza, caduto per terra di fronte al bancone. Al camaleonte non sfugge nulla, attenzione.

"Non ho una definizione esatta per la mia arte - afferma senza esitazione - Alcuni amici tempo fa volevano chiamarmi lo ‘stand up pianist’, ma la descrizione non era esatta: sembrava che suonassi il piano stando in piedi. Invece quello che cerco di fare è presentare dei brani musicali divertendo il pubblico: ho l’ambizione che la gente esca dai miei concerti soddisfatta per aver ascoltato della buona musica e per aver avuto l’opportunità di riflettere su temi importanti, anche se solo per pochi minuti".

Sembra presunzione, ma è davvero quello che si prova ascoltandolo. Durante i concerti ad impressionare non sono tanto le sue qualità da pianista, quanto la straordinaria capacità di interagire con il pubblico: Julian spiega i brani che interpreta, risponde alle domande e propone un filo logico per la sua performance.

Alla Carnegie Hall, la chiave interpretativa che legava i brani di Schumann e Beethoven era "la vita", intesa come successione di fasi, dalla nascita all’amore, ai contrasti fino alla saggezza. Ogni pezzo rappresentava uno step dell’esistenza, il tutto accompagnato da sano umorismo: "Vorrei ringraziare l’unica persona che mi ha permesso di essere qua stasera: il mio taxidriver", ha detto alla fine dello spettacolo Julian. E ancora: "Vorrei che usciste da qui con in mente due cose: la prima, è una piccola riflessione sul significato della nostra esistenza. La seconda, è ricordarvi che potete comprare il mio ultimo cd".

Facciamo un passo indietro, nella vita del nostro pianista camaleonte. Julian Lawrence Gargiulo nasce a Napoli da padre italiano e madre americana di origini italiane. Studia a Verona, e qui comincia a suonare il piano all’età di 7 anni. "Dopo poco però decisi di smettere - confessa davanti a una tazza di caffè - non mi piaceva l’insegnante e al tempo l’unico pianista di casa era mio fratello maggiore". La passione per la musica, quella vera, è arrivata più tardi: "A 13 anni ho ripreso gli studi, sono entrato al conservatorio e stavolta ho avuto la fortuna di incontrare un’insegnante eccezionale, la professoressa Randone, che ha creduto in me ed è riuscita ad ottenere il meglio dalle mie capacità".

Dopo la formazione in Italia, Julian prosegue per un anno gli studi al Conservatorio di Mosca, con il professor Mezhlumov. "E’ stata un’esperienza importantissima, che non potrò mai dimenticare, e che mi ha permesso di incontrare persone stupende. La parola che userei per descrivere il rapporto con gli amici russi è ‘dushevna’, cioè una relazione basata sull’aiuto reciproco e il senso di familiarità. Mi ricordo ad esempio che spesso la sera, non essendo abituato a cucinare, passavo a casa degli altri studenti e mangiavamo insieme: ci bastava il poco che avevamo".

"Nel 1999 - ricorda - decisi di trasferirmi a New York: non avevo parenti, mi affascinava la città e le enormi possibilità che essa offre. Per quanto riguarda le difficoltà, devo ammettere che rispetto ad altri musicisti italiani sono stato più fortunate: parlo perfettamente la lingua ed ho la cittadinanza americana. Questo mi ha permesso di allargare la mia rete di conoscenze in tempi ragionevoli e di essere accettato dalla gente del posto. Il che non vuol dire che gli inizi siano stati facili: organizzare concerti in questa città non è semplice se non conosci le persone giuste e così spesso suonavo nelle ‘retirment house’, case degli anziani".

Ma poi le cose sono cambiate. Pian piano Julian ha cominciato a trovare le persone giuste e dal 2002 sono iniziati i concerti (i primi alle Virgin Islands, seguiti dalle esibizioni in Italia, Francia, Germania, Russia e Australia).

"L’idea di unire piano e umorismo - continua - è maturata nel tempo: già mentre suonavo alle retirment house spesso spiegavo agli anziani il significato dei pezzi e vedevo che questo li coinvolgeva più della musica. Poi ho incontrato Josef Burgstaller, un musicista che suona nei Canadian Brass e al tempo stesso ama intrattenere il pubblico, e grazie ai suoi consigli ho sviluppato un mio modo di esibirmi. Un genere che è tuttora in evoluzione e che non si basa su alcun modello: ripeto, non saprei neppure come definirlo".

D’altra parte, non sono le classificazioni che contano in questo caso. Julian è un vulcano di idee che reinventa se stesso senza sosta: ha saputo creare il "suo" personaggio, e continua a modellarlo.

"In futuro - spiega - mi piacerebbe sperimentare nuove forme di intrattenimento con il pubblico durante i concerti: ad esempio una cena con me all’asta, da vincere dopo l’esibizione, o una conversazione ricca di domande tra un brano e l’altro. Sarei anche molto contento se riuscissi a lavorare in televisione, presentando live un concerto con tanto di dialogo con i presenti". E ancora: "Sarebbe bello che gli studenti delle high schools realizzassero un video su come si prepara un concerto, in modo che riescano ad imparare sia ad usare i nuovi media sia a comprendere meglio il mondo della musica".

Julian potrebbe continuare a parlare per ore dei suoi progetti. Si resta affascinati e contagiati dalla sua intraprendenza.

"È vero - ammette - sono molto ambizioso ed ho un sacco di idee. A volte ne discuto con gli amici o con chi lavora con me. Nella maggioranza dei casi, però, cerco di promuovere la mia immagine da solo: credo infatti che ciascuno, in prima persona, sia interessato a far andare bene le cose. Riprendendo lo spot della Nike ‘just do it’, direi che il mio motto è ‘just be it’: credere in quello che si è, in modo da convincere anche gli altri che quanto stiamo facendo è giusto".

Un bel motto, senza dubbio. Degno di un camaleonte con il pragmatismo americano, il "cameratismo" russo e il fascino italiano. Efficace soprattutto con le donne che, al termine dei concerti si precipitano da Julian per avere il suo autografo sulla copertina..

"D’accordo, non lo posso negare. Il mio atteggiamento con le donne resta tipicamente italiano". Abbassa lo sguardo, stavolta, e sorride malizioso. Il "camaleonte" conosce il suo fascino e non lo nasconde.